A luglio scorso il Parlamento Europeo ha approvato per il periodo 2021-27 ben 6,24 miliardi di euro per il Fondo per la gestione delle frontiere esterne, per respingere nient’altro che persone disarmate. Solo dal 1990 al 2019 i Paesi Ue si sono dotati di oltre mille chilometri di recinzioni. E presto saranno più del doppio.
Respingere, Rimpatriare. È la politica europea e italiana della chiusura delle frontiere adottata in questi anni. Una politica costruita, erigendo muri, reticolati e barriere fatte di accordi sui respingimenti, accordi per impedire il transito delle persone e favorire i rimpatri.
È dell’Unione Europea l’accordo con la Turchia stipulato il 18 marzo 2016 – rinnovato e rafforzato lo scorso luglio – per bloccare il transito di migranti verso la Grecia. Di fatto, con quell’accordo viene esternalizzato il controllo delle frontiere europee a un Paese terzo, la Turchia, in cambio di un finanziamento di 6 miliardi di euro. Da questo esempio ne derivano quelli successivi in Africa, Libia e Tunisia in particolare.
Non essendo possibile costruire un muro in mezzo al Mediterraneo, per impedire l’arrivo di migranti, l’Italia ha pensato ad una cortina fatta di accordi, con nessuna clausola sul rispetto dei diritti umani. È del 2017 l’accordo con la Libia, il famigerato Memorandum stipulato dal ministro Minniti – governo Gentiloni – poi rinnovato dal governo Conte nel 2020. È ampiamente documentato l’orrore dei lager libici dove sono trattenute le persone. Peraltro, buona parte dei finanziamenti italiani vanno alla Guardia costiera libica formata da milizie collegate con i trafficanti di esseri umani. Anche con la Tunisia l’Italia ha stipulato accordi per impedire la migrazione delle persone e per i rimpatri, ed anche lì centri sovraffollati in condizioni indegne. Altri paesi, il Niger, il Sudan, l’Etiopia, il Senegal, sono beneficiari di fondi italiani, per impedire partenze e transito di migranti. Tra il 2015 e il 2020 l’Italia ha speso un miliardo e 337 milioni per bloccare, o per lo meno ridurre, le migrazioni dall’Africa. Una spesa che oltre ad impedire la libera circolazione all’interno del continente africano è servita a rafforzare governi autoritari e consolidare reti di trafficanti di vite umane. Anche la politica dei porti chiusi e le misure previste dai decreti sicurezza, costituiscono una barriera contro lo sbarco di migranti.
Sulla rotta balcanica, oltre al muro tra Turchia e Grecia, per la sorveglianza dei confini nei paesi di transito finora ha funzionato la polizia dei Governi locali con l’aiuto di droni, satelliti e aerei militari. A separare l’Ungheria di Orban con Serbia e Croazia, un reticolato di 175 chilometri.
Per bloccare l’arrivo di migranti dalla Bielorussia, la Polonia ha posizionato sul confine una cortina di ferro e ingenti forze militari. Da dicembre costruirà una nuova barriera, un muro lungo 187 chilometri con finanziamento diretto o indiretto dell’Europa. Anche la Lituania ha deciso di puntellare il confine con la Bielorussia con pali d’acciaio e filo spinato.
Ciò nonostante, gli effetti sulle migrazioni verso l’Europa è praticamente nullo. Pattugliamenti, reticolati, muri, costringono soltanto i migranti a trovare altre rotte. Come dall’Africa dove sono aumentate le partenze dalla Tunisia e cresce la rotta atlantica verso le Canarie.
Alzare muri e barriere non serve assolutamente a fermare le migrazioni, serve solo a renderle pericolose. È illusorio pensare di arrestare le migrazioni presidiando le frontiere.
I soli effetti prodotti da barriere visibili e invisibili sono patimenti, violenze, torture, e, per molti migranti, la morte.
La sola politica condivisibile è quella dei corridoi umanitari e accesso alla protezione internazionale. Da anni non si può più entrare regolarmente in Italia dai paesi non europei perché non viene più applicata la norma che regola i flussi d’immigrazione, in violazione del senso più profondo degli articoli 2 e 10 della Costituzione.
Renzo Poggi, 24 novembre 2021